Cascate di Ouzoud
Viaggio alla scoperta delle cascate più alte del Marocco
“Now I’m going into the wild.”
Day 3 in Morocco: On The Road
H 09:12 am
<<Mi aspettano almeno due ore e mezza di viaggio verso Ouzoud. Siamo partiti da poco e la testa poggiata al finestrino ancora non mi fa male.
La zona semi-desertica che stiamo attraversando è resa ancora più suggestiva dalla nebbia a tratti fortissima di oggi. È tutto immobile mentre guardo il paesaggio scorrere veloce e velato sotto i miei occhi, fuori dal finestrino.
È tutto così surreale. Così bello. Così emozionante. Per tutta la mia vita, da quando ho memoria di aver iniziato a sognare e a leggere (che poi sono sostanzialmente la stessa cosa), ho desiderato di potermi trovare un giorno in una situazione del genere: su un fuoristrada diretto verso terre selvagge… IN AFRICA! Ed ora che sono qui, sono qui veramente! Nel posto giusto al momento giusto…
Pensavo ad un libro, letto qualche mese fa, sugli ultimi anni della vita breve ma intensa di un ragazzo americano. Ho compreso fin da subito il suo bisogno di verità, la ricerca spasmodica di una vita che fosse REALE e senza costrizioni, il richiamo del selvaggio… ora sto qui, a quasi 4000 chilometri dal libro che ho lasciato sullo scaffale più basso della mia libreria e penso ancora a come doveva sentirsi emozionato “Alex” quando in una lettera indirizzata ad uno dei suoi pochi amici scrisse: “Now I’m going into the wild“.
Erano i primi anni novanta e quel ragazzo si chiamava Christopher Johnson Mc Candless.
Ho riempito le pagine di quel libro di grosse, piene e incontenibili lacrime. C’è qualcosa di così affine ai suoi sentimenti in me…
Mi sveglia dai miei pensieri complessi la vista di un cimitero in mezzo al nulla… così: nella libertà, senza troppe cose intorno, con il niente intorno!
È ridicolo come la società sia riuscita a spingere l’uomo a fare a meno dell’essenziale circondandolo del superfluo quando in realtà quello che amiamo, quello che ci ha lasciati, rimane per sempre nella nostra mente e nel nostro cuore soltanto, non sotto marmi costosi ornati da fiori destinati ad appassire.
Penso spesso alla morte. Potrà sembrare funereo e lo sarebbe sembrato anche a me fino a qualche anno fa, ma non la vedo più così. Ho maturato un’idea diversa, un’idea affascinante della morte: non riesco a non immaginarla come un velo leggerissimo di organza nera che poggiandosi con noncuranza sulle cose riesce a riempirle di valore e a renderle speciali, incastonandole in quel luogo infinito e irreale tra lo spazio e il tempo. È per l’idea che ho della morte che viaggio…
Penso a Max. Al suo giradischi. Alla sua moto.
Poggio qualche secondo la penna sull’agenda per stropicciarmi un po’ gli occhi e noto che il tizio alla mia sinistra mi guarda strano e incuriosito mentre cerco di scrivere qualcosa che eviti l’affinità al geroglifico nonostante le buche, la strada, i sorpassi e l’autista marocchino che guida come… un pazzo furioso inseguito dalla CIA.
Rimango assorta a guardare fuori: i campi sconfinati, i piccoli villaggi isolati che incontriamo sporadicamente, le persone sedute nel nulla ai cigli delle strade… il paesaggio emozionante al sorgere del sole in questa mattina di un fine febbraio dal sapore marocchino.
L’Africa mi sta segnando dentro>>.
Les Femmes Berbère
Breve sosta durante il viaggio (e “Momento Superquark” che Piero Angela, levati!).
Il Marocco ospita la più vasta foresta di Argania spinosa di tutto il nord Africa.
Nella zona sud del paese sorgono numerose cooperative di donne rurali autoctone che si occupano della produzione, ancora oggi totalmente manuale, dei prodotti di Argan e dell’attuazione di un programma a sostegno del miglioramento delle condizioni di lavoro e dell’utilizzo ecosostenibile delle foreste.
La raccolta si concentra nei primi mesi estivi, quando i semi cadono dagli alberi. In seguito si passa alla loro lavorazione per la realizzazione dei prodotti cosmetici e di quelli alimentari: il nocciolo del frutto viene messo in uno strumento tipico che tramite lo sfregamento e l’aggiunta di acqua produce la pasta Malaxage, dalla quale si ottengono successivamente l’amatissimo Olio Marocchino, il sapone nero utilizzato solitamente negli Hammam e i prodotti alimentari (ottenuti dalla Malaxage fatta dai semi tostati).
Il profumo è afrodisiaco, intenso, forte e allo stesso tempo delicato. L’olio è vellutato, morbido, saturo. Lì, e in quel momento, ho dovuto ammettere a me stessa che l’odore dal quale sono sempre stata follemente ammaliata, altro non era che una copia mal riuscita o troppo diluita di quello che è il suo vero profumo allo stato puro.
Ho passato le rimanenti ore del viaggio ad annusarmi un braccio fin quando il mio naso, ormai abituato alla fragranza, ha finito per non percepirla più.
Note: l’ Argan ha molteplici e diffusamente riconosciute proprietà benefiche, non solo per i trattamenti estetici; ai prodotti alimentari sono state attribuite proprietà cardio protettive e anti-diabetiche, e una rilevante inibizione della crescita batterica.
Ouzoud
H 01:05 pm
<<Salto giù dal fuoristrada.
Le due donne francesi che hanno viaggiato con me scambiano qualche parola tra di loro mentre mi dirigo verso un gruppo di locals indicatomi dall’autista: una decina di uomini di diverse età che, seduti all’ombra di un gigantesco albero di olivo, gesticolano in modo concitato e ridono rumorosamente, divertiti da chissà quale discorso.
Vedendomi avvicinare, uno di loro si distacca dalla comitiva per venirmi incontro: un ragazzo berbero molto giovane, smilzo, dall’aria simpatica e “operativa”… proprio come piace a me! Accetto subito e ben volentieri la sua proposta di accompagnarmi nell’escursione verso la cascata facendo il giro lungo che attraversa il fiume, sperando nella fortuna di riuscire a vedere qualche coccodrillo nel suo habitat naturale. Purtroppo, di ritorno a Marrakech, l’unico animale che sarò riuscita a vedere in modo ravvicinato (moltissimo ravvicinato) sarà il macaco berbero che mi è saltato in testa, ma questa è un’altra storia.
Iniziamo a camminare e dopo pochi metri ci troviamo esattamente sopra la cascata, vicino la fonte. Incredula, eccitata e già totalmente rapita dallo scenario, mi avvicino al bordo dello strapiombo per guardare giù, dove va a finire l’acqua. La vallata, splendidamente attraversata da un arcobaleno, è davvero impressionante vista da qui, da levare il fiato!
“Hey Ragazza… don’t jump!”
(“Hey ragazza… non saltare!”)
Mi volto di scatto e dietro un timido sorriso sgangherato, vedo il giovane berbero che mi scruta con uno sguardo indagatore, divertito e incuriosito dal mio entusiasmo. Scoppio in una risata, divertita anche io da quella frase, mentre gli spiego che non è assolutamente mia intenzione saltare da un’altezza così senza un paracadute che mi assicuri di riuscire ad avere salva la pelle e concludo con lo specificare che non sono matta fino a quel punto.
Ma lui sa già dentro di se che lo sono abbastanza. Quel tanto che basta per farmi trovare li, davanti a lui, in quel momento>>.
Ho sempre prestato moltissima attenzione ai cambiamenti graduali del paesaggio con l’allontanarsi dalle città: il caos che si affievolisce sempre più fino a sparire, i rumori che lasciano spazio ai suoni, l’evoluzione del colore, gli odori, i pensieri, gli spazi che si estendono e con essi lo sguardo… come un passaggio reversibile e repentino dal piccolo al grande, dalla superficie al profondo, dal plurale al singolare.
Una cosa simile penso accada alle persone. Agli uomini. Alle donne. Ai bambini. Agli animali, probabilmente. Solo che questa volta, a cambiare sono i modi, gli sguardi, le parole, i discorsi, la diffidenza/indifferenza che si dirada con l’allontanarsi dalle città, le altezze interiori.
La gente di città. Le persone delle aree extraurbane. Gli spiriti liberi delle terre selvagge.
Per tutta la durata dell’escursione attraverso questa magnifica vallata sono stata con la testa tra le nuvole, gli occhi sprofondati nel panorama e le orecchie rivolte ai racconti straordinari del ragazzo sulla storia della sua gente e le origini del suo villaggio. Lui, in punta di piedi e lentamente, si è collocato in quella terza categoria che tanto amo. Non per il posto nel quale si trovava a vivere, ma per i suoi modi, il suo essere, quello che trasparivano i suoi grandi occhi neri.
H 2:26 pm
<<Ai piedi delle cascate di Ouzoud, sul versante destro del fiume, si trova un villaggio berbero. Qui un ristretto numero di famiglie vive di pesca e agricoltura immerso in una fittissima vegetazione. La principale fonte di sostentamento e ricchezza deriva dalla coltura dei numerosissimi alberi di olivo disseminati per tutta la valle; il ragazzo mi spiega che i diversi colori con i quali ogni pianta è marcata, servono ad attribuire la proprietà alle varie famiglie che abitano la zona. La collaborazione e il reciproco scambio sono alla base dei rapporti umani.
Parliamo senza sosta e quando scopro che la sua nonna berbera e la mia nonna calabrese preparano le olive allo stesso identico modo, mi viene tantissimo da ridere ma non mi sorprendo eccessivamente: io la mia terra, ho sempre amato chiamarla “Calafrica“>>.
<<“Hey Girl, you got a Berber Face!”
(“Hey ragazza, tu hai lineamenti berberi!”)
(E sarà la quarantesima volta che me lo sento dire da quando sono qui in Marocco).
Questa frase accompagnata da un saluto sono le prime parole che mi vengono rivolte quando, finito di attraversare il fiume, arrivo al villaggio: un ragazzo statuario dall’altezza e dalla muscolatura ciclopiche, sta lì seduto davanti la sua cassetta piena di arance a guardarmi incuriosito.
Saluto e mi fermo vicino a lui per posare lo zaino e riposare qualche minuto. (Tutti a lamentarsi sempre delle salite, ma le discese ripide nessuno mai le ha fatte evidentemente, diamine!).
Gli rivolgo un sorriso e lui, interessato in maniera evidente alla mia presenza lì e dopo nessun convenevole (vi ho già detto che amo questa terra per vari motivi?) mi rivolge milioni di domande curiose. La sosta breve si trasforma in una piacevolissima conversazione che si conclude con me che gli faccio il terzo grado. Dio! Sono troppo maledettamente ossessionata dal sapere ciò che non potrò mai trovare nei libri.
Mentre inizio a raccogliere le mie cose per ripartire, un tipo cicciuto arriva correndo velocemente da chissà dove e si tuffa nel fiume con un fragore degno di quello della cascata e schizzando acqua in ogni dove. Scoppio a ridere e il mio compagno di conversazione, che fino al minuto precedente si preparava a salutarmi, propone di fare un bagno prima di riprendere il cammino. Lo dice con un’aria di sfida scherzosa, ma io capisco il suo tiro e gli rispondo con il sorrisetto malizioso di chi ha inteso:
“Hey man, I’m afraid of anything!”
(“Hey ragazzo, guarda che non ho paura di niente!”)
Ci salutiamo allegramente tra risate e auguri di buona fortuna.
Come è triste e malinconico estendere la lista delle persone che non rivedrai mai più al mondo.
Si riprende la strada.>>
TIPS: la valle d’Ouzoud è un ottimo posto per osservare degli esemplari di Macaco Berbero nel loro habitat naturale. Munirsi di noccioline.
La Cascata
H 3:00 pm
<<La Cascata viene giù per 110 metri da una montagna di arenaria rossa sul Medio Atlante.
“WOHOOOOOO!” un grido incontrollato di pura adrenalina mi esce dalla gola.
Madre Natura trova sempre il modo di stupire chi la cerca… ed io, la parola “entroterra” (ad esempio) l’ho sempre amata.
La vista del panorama dà energia, senso di libertà. Il suono assordante dell’acqua che cade giù con forza svuota la mente. L’emozione è di un’intensità primordiale!
Alzo gli occhi al cielo: cosa potrà mai aver provato il primo uomo sulla luna?>>.
H 4:09 pm
<<Mente vuota e muscoli contratti.
Dopo una lunga ultima sosta spalmata sotto il sole ad occhi chiusi (giuro che non stavo assolutamente dormendo), mi avvio al fuoristrada per prepararmi al rientro a Marrakech.
Un local in lontananza parla con una coppia tedesca di immigrazione e razzismo mentre una delle due signore francesi davanti a me si pettina i capelli in modo ossessivo compulsivo e mi guarda mezza terrorizzata; probabilmente sospetterà io abbia preso le pulci per il macaco che mi è saltato in testa qualche ora fa, ma io le faccio un sorriso e mi sciolgo la chioma liberandola al vento come a dirle: “Stia tranquilla Madame, non le mischierò nulla durante il ritorno”.
Tutti qua intorno fanno qualcosa, mentre io semplicemente mi sento in pace con il mondo.
Rallento il passo per guardarmi intorno mentre penso a quanto io sia fortunata ad essere qui, adesso.
Intanto l’autista marocchino, vedendomi arrivare da lontano, mi fa cenni di saluto…
Mi fermo giusto un istante a guardare per l’ultima volta quel ragazzo d’Africa mentre mi chiedo come faccia a conoscere sei lingue, a vivere “fuori dal mondo” eppure a conoscerlo meglio di quanto io non riesca (e probabilmente non riuscirò mai) a fare.
Lo saluto da lontano e lui ricambia, mostrandomi ancora, e per l’ultima volta, quel suo timido sorriso sgangherato>>.
Elucubrazioni Posteriori
H 5:05 pm
<<Ho sempre avuto grossi problemi emotivi con gli arrivederci, figuriamoci con gli addii.
Penso che questo posto mi rimarrà nel cuore per sempre. Lo è già adesso mentre, di ritorno a Marrakech, il gelo del vento che entra dalla portiera sgangherata mi colpisce in pieno le gambe e io sono qui a vomitare le mie emozioni sulla mia Moleskine mentre con la coda dell’occhio inseguo il meraviglioso paesaggio alla mia destra.
…
Penso all’Africa. A tutti i luoghi meravigliosi che deve custodire incontaminati, lontani dall’invadenza prepotente e irrispettosa dell’uomo.
Penso alle distese infinite che mi sono passate, splendide e intoccabili, davanti agli occhi nelle ultime dodici ore lungo questi 350km di strada.
Penso al ragazzo di Ouzoud. Alcune cose o persone sono destinate a non dover essere mai contaminate da “UN NOME” nella nostra mente, ma semplicemente a rimanere puro ricordo, profumo, sensazione, colore, emozione. Persona.
Penso al ragazzo di Ouzoud. Ho chiesto il suo nome ma l’ho subito dimenticato, né penso che mai lo ricorderò, per l’appunto!>>.